[dropcap size=small]S[/dropcap]intesi delle conclusioni. Quello che voglio sostenere oggi è l’esistenza di una nuova figura nell’Alta Cucina: la figura dello Chef Progettista. Lo chef non è un artista, non è un artigiano ma è il progettista che pensa ad un piatto dalla sua creazione alla sua fruizione, come ad un piatto ripetibile e assolutamente autonomo rispetto alla presenza o meno dello chef stesso.Vuol dire che il piatto, inteso come scelta degli ingredienti, ricetta, procedimento, presentazione e fruizione da parte del commensale, diventa un vero e proprio progetto di produzione seriale che garantirà a tutti i commensali lo stesso tipo di esperienza offerta.
Nella ricetta ci saranno quelle dosi, quelle indicazioni di provenienza degli ingredienti, quelle macchine e quegli strumenti per produrlo, cucinarlo, assemblarlo, quei piatti di portata e non altri per presentarlo, quei colori come risultato, quei profumi e quelle dimensioni per la portata sempre identiche per uno o per due o per tre o per 100 commensali.
Lo chef potrà essere fisicamente presente nella cucina o non esserlo e potrà come consulente di molti ristoranti sparsi nel mondo, garantire il suo stile e la sua proposta, niente di meno di quello che si può ottenere producendo un tavolo di design o una lampada.
Con lo Chef Heinz Beck, che oggi dirige 6 ristoranti in tutto il mondo, abbiamo lavorato con un gruppo di studenti aspiranti food designer, provenienti da diversi paesi del mondo e abbiamo potuto sperimentare il tipo di ricerca che viene effettuata per l’ideazione di ogni nuovo piatto per la singola location.
Si tiene conto della geografia, della storia, della proposizione, della location e del tipo di cliente e poi si realizza un vero e proprio manuale che permette alle brigate di tutte le cucine di realizzare insieme allo chef de cuisine del posto, le portate in modo identico in tutto il mondo. Anche la modalità di assaggio, il modo in cui il piatto va affrontato, l’ordine delle sensazioni palatali da stimolare, quelle visive e olfattive è stabilito dal progetto, il piatto si mangia così, si taglia così, si affronta così. Il compito della sala infatti è quello dell’educazione e dello story telling rivolto al cliente.


Non tutti gli chef oggi sono progettisti però, i progettisti sono unici e si trovano solo nell’Alta Cucina. Molti chef ancora oggi, sono semplici e allo stesso tempo grandiosi interpreti della tradizione, altri sono innovatori. Quindi dobbiamo chiarire sin da subito che questo livello è un livello unico che prelude a un’esperienza multi-sensoriale e multi disciplinare che non tutti sanno riprodurre.
Lo chef progettista pensa anche alla salute, all’economia, alla reperibilità degli ingredienti e alla sostenibilità del piatto così come è giusto che facciano tutti i progettisti di design in genere (vedi i 10 punti del Manifesto del Food Design a questo link )
Nella storia della cucina italiana, il primo vero progettista è stato Gualtiero Marchesi che ha regalato ai gourmet, negli anni 80, nuove forme e nuove proposte di piatti da sempre conosciuti e mai ri-progettati fino ad allora: esempio per tutti il risotto che è diventato il risotto con la foglia d’oro o il raviolo aperto.
Oggi andare a cena in un ristorante non è più solo l’occasione per mangiare bene, è molto di più, è quell’esperienza unica che avvicina il progettista al consumatore e li fa incontrare davanti ad un oggetto commestibile, unico e ripetibile.
Nerina Di Nunzio @FoodConfidentia @nerinadinunzio
(Sintesi dell’intervento di Nerina Di Nunzio durante la giornata: Food Design Manifesto Declaration Day organizzata da ADI – giovedì 18 dicembre 2014 presso la Sala Pirelli di Palazzo Pirelli a Milano )




Photo Credits: Ilaria Respizzi

























